I have a dream…

Ideali, speranze, riferimenti, sogni infranti e un pizzico di ironia…

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28 Agosto 1963 – I have a dream di Martin Luther King

Lettera di congedo di Gabriel Garcìa Màrquez

Se per un istante Dio si dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma penserei a tutto ciò che dico.
Valuterei le cose, non per il loro valore, ma per ciò che significano.
Dormirei poco, sognerei di più, essendo cosciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei quando gli altri dormono.
Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto piacere gusterei un buon gelato al cioccolato.
Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice, e prima di tutto butterei me stesso in fronte al sole, mettendo a nudo non solo il mio corpo, ma anche la mia anima.
Dio mio se avessi un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l’arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna.
Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell’amore.
Mostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi man mano che invecchiano, non sapendo che invecchiano quando smettono di innamorarsi!
A un bambino darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo.
 Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza.
Ho imparato così tanto da voi, Uomini…  Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l’ha catturato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall’alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi.
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granchè utili, perchè quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire.
Dì sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.

Se sapessi che oggi è l’ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l’ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle ascoltare una e più volte ancora.

Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi “ti amo” e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.

Sempre c’è un domani e la vita ci dà un’altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò.

Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l’ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perchè se il domani non arrivasse, sicuramente compiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli “mi spiace”, “perdonami”, “per favore”, “grazie” e tutte le parole d’amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti. Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli. Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.

Gabriel Garcìa Màrquez

Don Lorenzo Milani testimonianza di Giovanni Michelucci

Mi ricordo il giorno in cui fu seppellito don Milani, quest’uomo meraviglioso, questo cattolico di fede indiscussa.
Io l’avevo conosciuto quando era agli ultimi anni della sua vita, molto malato e molto sofferente. Con grande pazienza sosteneva dei dolori acutissimi che aveva per tutto il corpo. Era a letto e in fondo al letto, cinque o sei ragazzi stavano scrivendo la famosa lettera a una professoressa.
Don Milani ascoltava e poi fermava quello che leggeva dicendo: “Aspetta un momento, c’è una parola, c’è questo che bisogna spiegare”. Perchè voleva che tutto fosse chiaro, che tutti potessero capire.
E il chiarimento come avveniva? Avveniva in modo particolare: chiamava una servetta e diceva: “Leggi alla Eda quello che avete scritto”. La Eda stava a sentire. Allora don Milani la interrogava: “Cosa hai capito? Niente? Avete visto, bisogna riscrivere!”.
Morì tra sofferenze enormi. Io fino quasi all’ultimo potei andare a casa sua e stare con lui. Abbiamo avuto dei lunghissimi silenzi e brevissimi colloqui. I lunghi silenzi erano molto più importanti dei colloqui. Era nato un legame indissolubile…
Ricordo il giorno che si accompagnò al cimitero. C’era la sua casa, la casa di un povero contadino e sotto c’era un piccolo cimitero.
Era una meravigliosa giornata di sole e da questo piccolo cimitero si vedeva tutta la campagna. La campagna era ferma, non c’era un uomo, non c’era un animale, non c’era nulla. Tutto era in attesa di qualcosa che stava avvenendo. Era commovennte. Si sentivano acri sapori mentre stavano dando gli ultimi colpi di vanga e di zappa alla terra dove doveva esere messo il feretro.
Io osservavo queste cose, non capivo, non mi rendevo conto di quello che avveniva, mi rendevo conto soltanto di cosa voleva dire una parola che si ripete con tanta leggerezza e con tanta paura: la morte. Questo senso sacro, importante, immenso, che investiva tutto, anche la campagna. Tutto si era fermato in attesa di questo avvenimento.
Al’ultimo , mi accorsi, che noi presenti, un centinaio di persone, c’eravamo disposti in circolo intorno alla fossa. Un cerchio perfetto. Allora capii la forma della chiesa, quale poteva essere quella nata nei nostri animi. Se ciascuno di noi avesse avuto una pietra, l’avrebbe messa così, come noi, nel nostro stesso posto, costruendo appunto questo grande cerchio.

Tratto dalla raccolta “Dove si incontrano gli angeli – pensieri fiabe e sogni ” di Giovanni Michelucci

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